In due.

Li guardo. Solitamente non se ne accorgono. Li guardo come si guarda a qualcosa di grande, che sai che non ti appartiene e non ti apparterrà mai.

Quei due non l’hanno scelto il loro amore, è capitato e lo vivranno a lungo.  A cicli alterni, magari a distanza, in modo conflittuale e viscerale, ma il loro sarà un amore duraturo. Non lo conosco, per questo  a tratti li spio e li invidio. Quei due.

Li guardo. Mentre camminano fianco a fianco, ora per mano, ora più distanti, uno davanti all’altro salvaguardandosi a vicenda mentre attraversano la strada ancora inesperti.

Ascolto i loro dialoghi. Quando si raccontano la loro giornata ed è una gara a chi l’ha avuta più avvincente.

Guardo i loro baci. I rari baci che si concedono e gli abbracci arrotolati per terra che finiscono a scazzottate.

E ascolto i loro progetti. Quando fantasticano sulla loro stanza, metà azzurra e metàdiuncolore che non sanno ancora e si confrontano sui complementi d’arredo.

C’è qualcosa di ipnotico nello spettacolo di quei due che cantano. C’è qualcosa di contagioso nelle loro risate lunghe e sonore. C’è qualcosa di disarmante nei ragionamenti su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, su ciò che è vero o falso. C’è qualcosa di magico nella reciproca solidarietà che riescono a costruire e qualcosa di primitivo nella cruda capacità di voltarsi d’improvviso le spalle.

C’è un privilegio a crescere insieme, non coetanei, né troppo vicini, né troppo distanti, a imparare da subito a condividere un amore, a misurarsi ogni giorno con un frammento di diversità. C’è qualcosa di ignoto per me nel vostro legame. Per questo vi guardo e vi ascolto.

E penso che intorno a voi crescerà un girotondo di persone, progetti ed esperienze che vi porteranno a diventare grandi, ma vi porterete sempre dietro cosa è stato essere piccoli insieme.