Racconti. Salvarsi

Sono molte le iniziative apprezzabili, sorte in tempo di Covid, per raccogliere storie e racconti. Evidentemente le parole sono state e continuano ad essere un modo per tenere traccia, tramandare, mantenere vive suggestioni e ispirazioni.

Tra queste segnalo e ringrazio “Racconti dalla quarantena” un blog creato dal sistema Bibliotecario Valli dei Mulini, sul quale è stato accolto e pubblicato un mio racconto, come frammento di questo tempo.

1.

– M’asmija propi n’esagerasiun sta storia della pandemia. Faccio un po’ come voglio, non possono mica vietarmi di uscire – la connessione è instabile, va e viene, sento la voce, poi finalmente la vedo comparire sullo schermo, sono inquadrate solo la fronte e la folta chioma di capelli argentei.

– Invece no, non decidi tu nonna. Lo ascolti il telegiornale? La situazione è seria – alzo la voce, poi batto subito in ritirata, rimedio un tono più docile, amorevole.

Ogni tanto mi dimentico. Penso di poter ancora parlarle come fosse quella di un tempo, dinamica e spassosa, la nonna che tutti vorrebbero.  In questi ultimi anni un male oscuro se l’è mangiata, me l’ha rimpicciolita, rallentata, accartocciata. Aveva un bel dire il dottore che poteva andare peggio – Non è proprio Parkinson, è una forma di parkinsonismo, vale a dire un derivato più innocuo, dal decorso più lento. Mi ricordo bene le sue parole, aveva tentato di addolcire il boccone, la verità è che ogni malattia, più o meno nota, più o meno aggressiva, non lascia scampo. E’ schifosa, come dice mia nonna.

– Tesoro mio, dove vuoi che vada? Me ne starò a casa, fuma parej! Fammi vedere quel bel faccin. Tua madre è in ospedale? Sarà stravolta, povera figlia, sembra nata solo per lavorare.

– Sono qui nonna, ecco mi vedi? – mi mostro e sorrido con tutto il viso, so bene che queste videochiamate sono l’unica occasione di svago – Mamma non torna a casa, sta dalla sua collega Annarita, dice che lo fa per precauzione, per la nostra salute. Non vuole correre rischi, sai come è fatta. E comunque è come se vivesse al Mauriziano ormai, completamente dedicata alla causa. Sappiamo come è fatta.

Mia nonna Rita è una donna eccezionale. E’ rimasta buona, nonostante la malattia, nonostante vuoti e dolori. Sa ancora pensare agli altri, del resto l’ha sempre fatto, si occupa di ognuno di noi, di questa famiglia al femminile, che se vogliamo essere sinceri di famiglia non ha propriamente le sembianze. Siamo piuttosto anime solitarie, accomunate dallo stesso patrimonio genetico.

Da anni è stretta in una quotidianità che si consuma tra le mura domestiche: qualche passeggiata dell’isolato per far lavorare le gambe pigre, l’appuntamento settimanale dal parrucchiere ed eccezionalmente qualche pranzo fuori. Il ripetersi di gesti routinari non le fa più paura. E’ stata brava ad abituarsi a un’esistenza sfoltita di evasione e superfluo, ha già fatto pace con giorni tutti uguali, tendenzialmente statici, eppure oggi può finalmente dire che questo lockdown le pare un’esagerazione. Non si è mai lamentata, non ha mai provato a ribellarsi, lo fa ora che ondeggiamo tutti tra apprensioni e silenzi. Ma che paura può avere del Covid o di morire? Anzi io credo che abbia un altro genere di terrore: è sopravvissuta alla vedovanza, alla morte prematura di mio papà, a un morbo subdolo che la rende insicura e appannata, ecco adesso teme solo di dover resistere anche a questo. L’ennesima fatica.

2.

Mia figlia Gloria lavora sempre. Troppo. Da quando era ragazza sognava di fare il medico, prima di far nascere i bambini, poi di salvare vite. Alla fine quella che pareva un’ipotesi è diventata una professione o meglio l’unica ragione di vita. A volte mi fa spavento questa sua dedizione instancabile, non so spiegarmela: non sembra mia figlia e non ha mai fatto la mamma. Non sono cose su cui rimuginare, lo so, tanto meno da dire, sono pensieri indigesti che custodisco in segreto, ma quanto mi tormentano. Non mi sono mai data pace, ho cercato in tutti i modi di insegnarle ad accudire quella piccola creatura. Pensavo che il tempo avrebbe fatto la sua parte, non c’era nulla da imparare, si trattava di abbandonarsi a un istinto primitivo. Beh, mi sbagliavo. Non è così per tutti e la vita non l’ha aiutata. Lei che è nata per lottare e restituire speranze e aspettative di vita, non ha potuto salvare quella di suo marito che se ne è andato in un solo mese, senza possibilità di ripresa, in un agosto torrido di oltre dieci anni fa. Da quel momento Gloria ha continuato a lavorare senza sosta, non c’erano né weekend né pause, solo la rabbia e la determinazione di chi non può permettersi di fallire. Siamo rimaste così io, lei ed Eleonora, all’epoca troppo piccola per capire. Da nonna mi sono ritrovata a fare ancora una volta la mamma, mentre lei pensava a lottare contro la morte, sempre quella degli altri. Non credo che non voglia bene a sua figlia, questo no, lo vedo dai suoi occhi, lo intuisco dalle sue premure. Credo piuttosto che non le basti una vita ordinaria, di quiete domestica. C’è una vocazione più alta ad arruolarla, a farla trattenere in reparto oltre il suo orario, a farla immergere nel dolore per trovarne un senso.

– Possibile che non tu non sia capace di dire qualche no? Si tratta di te e tua figlia. Questo tempo non tornerà più. Lo dico perché ora non ci pensi e il lavoro viene prima di ogni cosa – ogni volta che pronuncio queste parole so bene quanto siano insignificanti, eppure vengo risucchiata in una crudele spirale di recriminazioni.

– Non sono come te, devi fartene una ragione. Tu sei nata madre, io sono nata medico. I miei pazienti sono i miei figli – ribatte con rabbia, con la ferma volontà di colpirmi, di pronunciare una realtà scomoda, l’unica peraltro che è capace di vivere. O forse no, ma ormai se ne è convinta.

Non sento Gloria da più di cinque giorni e sono preoccupata. Non sa salvaguardarsi, prendere le distanze, capire quando è il momento di dire basta, figurarsi in una situazione come questa dove i medici sono sempre più esposti.

3.

Gloria, Gloria, stai bene? Hai sentito quello che ti ho detto? – incalza Marco con cui lavoro in rianimazione da soli due anni, eppure ha imparato a decifrare ogni espressione del mio volto, a cogliere la più impercettibile increspatura della mia voce

Sono solo stanca, faccio pausa, devo fermarmi un attimo – rispondo in modo meccanico, non so cosa mi stia accadendo e mi allontano velocemente. Percorro il corridoio che fiancheggia il pronto soccorso e mi dirigo verso la macchinetta del caffè. Non sento né caldo, né freddo. Non vedo più nulla intorno a me, apro e chiudo gli occhi, per capire se sono sveglia, presente a me stessa. I battiti accelerano, si intensificano, rimbombano.

Non sento più mani, braccia, gambe, ho la sensazione netta che la mia testa sia separata dal corpo. Sono quattro settimane dall’inizio dell’epidemia che ho lavorato con turni massacranti, per far fronte all’enorme numero di pazienti. Sono giorni di solitudine e responsabilità, santo cielo, lo sono da vent’anni. Cosa mi succede proprio adesso?

Sono testa, il corpo non risponde. Non ho più occhi per questi malati che lottano sotto il casco a ossigeno, hanno smesso di parlare perché non hanno abbastanza fiato in gola; non ho più orecchie per le parole preoccupate dei miei colleghi; non ho più spazio tra stomaco e cuore per sentire la paura. Il respiro si fa più corto, forse è suggestione.

Sono solo testa e pensiero. E terrore di ammalarmi. Sono su questo crinale dal quale posso scivolare in ogni istante, giù verso la morte.

Vorrei chiamare Eleonora, per comunicarle che va tutto bene, di stare tranquilla, di non preoccuparsi. Vorrei telefonarle per dire che oggi ho finito, mi concedo una pausa e mi riposo, perché me lo merito, perché se lo merita lei, glielo devo finalmente un tempo di chiacchiere e confidenze.

Vorrei avvisarla, ma sono stanca. Non sento più mani, braccia, gambe, non sento più il mio respiro. Mi siedo, appoggio la testa al muro, chiudo gli occhi. Una frase, un’unica frase si conficca in qualche piega della mia coscienza e produce un suono ossessivo. La testa risuona di una sola urgenza, è la voce di Eleonora “Salvati mamma, salva te stessa”.